La biosemiotica di Jakob von Uexküll
Segni nell’ambiente: la biosemiotica trascendentale di Jakob von Uexküll
Ho dedicato più di quattro anni a studiare le opere di Jakob von Uexküll, addentrandomi (da filosofo quale sono) in questioni di biologia teorica inizialmente lontane dal mio linguaggio disciplinare. Non c’è da stupirsi se ogni tanto mi chiedevo – ma più spesso me lo chiedevano gli altri – il motivo di un così grande interesse per un biologo accesamente antidarwiniano, che in pieno XX secolo professava tesi a volte scientificamente superate e mescolava biologia e filosofia senza eccessivi riguardi. A questa domanda, preso com’ero dalla concreta attività di ricerca, non ho mai dato una risposta diretta, confidando con un po’ di incoscienza in quell’istinto che guida i ricercatori verso territori promettenti. Così il mio interesse per Uexküll è rimasto intatto e mi ha permesso di terminare una monografia interamente dedicata a quest’autore. Ora però, mentre il libro inizia la sua autonoma esistenza, posso dedicarmi alla questione di fondo: perché leggere Uexküll oggi?
Uexküll e Kant: per una “critica della ragione animale”
Prima di tutto, per un filosofo è terribilmente affascinante vedere quale enorme esperimento mentale abbia impostato Uexküll partendo da Kant. Muovendo dalla tesi kantiana che l’esperienza dell’uomo (il tempo, lo spazio, la “natura” in cui egli si muove) è determinata dalle strutture a priori della sua ragione, Uexküll si è detto: perché non applicare questa intuizione anche alle altre specie biologiche? Certo, nel caso degli animali ci manca l’accesso diretto alla loro esperienza vissuta, ma perché non cercare di dedurre dal loro comportamento esteriore le modalità percettive e cognitive che danno forma al loro ambiente? In un periodo in cui predominavano le tesi del meccanicismo e del comportamentismo – tesi che rischiavano di ridurre il comportamento animale a una catena di reazioni automatiche a stimoli esterni – Uexküll ribadisce invece la spontanea attività del soggetto animale (!).
Così, sulla scia di Kant, per Uexküll è il soggetto animale a plasmare cognitivamente il proprio contesto vitale, quel mondo circostante (Um-welt) in cui si muove sicuro per tutta la vita. E la varietà degli ambienti ricostruiti da Uexküll è stupefacente: dagli ambienti poverissimi della medusa e del paramecio, che si orientano in base a un solo atto di percezione, a quello un po’ più articolato della zecca – una costellazione di soli quattro o cinque elementi, ma sufficiente a permettere la vita e la riproduzione dell’artropode – per arrivare infine agli ambienti degli animali superiori e dell’uomo, dove le strutture a priori dei soggetti permettono la sintesi di durevoli contenuti di coscienza (le cose, i conspecifici) e poi ancora l’emergere delle funzioni delle cose e del significato dei conspecifici…
Forse Kant non sarebbe stato d’accordo, soprattutto di fronte a soggetti animali ben poco razionali come l’ameba o la zecca, ma questo non ha certo frenato Uexküll; e del resto, i filosofi ci sono per essere superati. Tuttavia Uexküll non ha ben ponderato una cosa, ovvero che basare il proprio lavoro su una teoria significa anche importarne i punti deboli, aprendo così la porta a critiche molto serie. Ad esempio la critica della separatezza degli ambienti (una “variante zoologica” del problema del solipsismo): se ogni soggetto costituisce il proprio ambiente tramite strutture cognitive a priori, che cosa garantisce che ci muoviamo tutti – animali di specie diverse, uomini e animali, noi e “gli altri” – nello stesso ambiente? O, nella versione ferocissima che di questa critica diede Konrad Lorenz, che pure stimava il nostro biologo: «Uexküll!» – scrive Lorenz – «Feroce idealista, kantiano, in realtà un nemico della scienza naturale, poiché per lui l’ambiente di ogni uomo è separato da quello di ogni altro; una sorta di monadologia dove non esiste un sole reale, ma ogni uomo ha il proprio».
L’intuizione uexkülliana della natura
Uexküll non ebbe mai la possibilità di leggere la critica di Lorenz, formulata dopo la sua morte, ma credo che non ne sarebbe rimasto troppo turbato. Critiche analoghe ne aveva lette molte, e sempre vi aveva opposto la sua originaria intuizione della natura come sistema armonico. Se è vero che gli animali si muovono in ambienti diversi, questa era la sua ferma convinzione, è vero anche che la natura è perfettamente in grado di accordare tra loro gli ambienti di tutti gli organismi, così che preda e predatore, ospite e parassita, corteggiante e corteggiato/a possano incontrarsi, pur restando ciascuno nel rispettivo ambiente, per portare avanti il grande teatro della vita.
E qui già si fa avanti l’altro spettro che, accanto a quello del solipsismo, infesta la visione uexkülliana del mondo, il fantasma della teleologia: cos’è mai questa natura pianificante? Come fa a predisporre nei minimi dettagli l’interazione tra i diversi sistemi animale-ambiente? Sono punti critici, indagando i quali ci si accorge che per Uexküll la natura è un’istanza teleologica che viene fatta intervenire a un livello inaccessibile all’osservazione empirica e alla ricerca scientifica. Quella basata sull’armonia degli ambienti è quindi una soluzione vitalistica, simile al ricorso di altri autori ad entelechie, anime, forme sostanziali ed altre forze ed entità che facilmente soccomberebbero a un ben manovrato rasoio di Ockham.
Al tempo stesso però, e lo sottolineo a scanso di equivoci, la natura non è per Uexküll un soggetto intelligente, cosciente o personale, né ha alcuna caratteristica soprannaturale. La sua azione armonizzante è per Uexküll un postulato, ovvero una di quelle affermazioni che, pur non essendo direttamente dimostrabili, sono tuttavia ineludibile se non si vogliono lasciare inspiegate troppe cose. In altri termini, per Uexküll l’organizzazione finalistica della natura, inaccessibile in sé, è però visibile nei suoi effetti: nel piano di costruzione del singolo animale (il Bauplan), nel modo in cui il soggetto animale (senza alcuna esperienza pregressa) costituisce il proprio ambiente specie-specifico e vi si muove con sicurezza, e infine nell’accordo tra gli ambienti di specie diverse. Tutti questi elementi, per non restare inspiegati, richiedono un’affermazione che non potrà mai essere dimostrata: esiste un’istanza unica e sovraordinata che agisce teleologicamente sul vivente e sui rapporti tra i viventi. Per Uexküll bisogna fermarsi qui: qualunque tentativo di descrivere, qualificare o tantomeno personificare questa istanza è per lui illegittimo. Un postulato non è il punto di partenza per ulteriori voli teologici o metafisici, è piuttosto il confine ultimo della ricerca, un confine che – kantianamente – delimita ma al tempo stesso garantisce la validità di tutto ciò che sussiste al suo interno.
Ma la scienza, si sa, non ama i confini, nemmeno se posti con il sobrio spirito könisberghese che Uexküll aveva fatto suo. E nel caso di Uexküll il compito di infrangere i limiti epistemologici se lo assunse Lorenz – un allievo quindi, come spesso accade, e uno dei più dotati; un promettente studioso che negli anni Trenta si sentiva molto vicino a Uexküll (eccetto che sull’evoluzione, che resta nelle loro lettere un argomento tabù) e ne utilizzava molti dei concetti e della terminologia. In questo periodo Lorenz era con Uexküll in un tale rapporto di fiducia da inviargli (per “Ambienti animali e ambienti umani”) materiali, disegni e osservazioni sulle taccole che volteggiavano sopra i tetti di Altenberg. In seguito, tornato dalla prigionia in Russia con una gran voglia di chiudere un periodo controverso della sua vita (in cui però, ben più che il rapporto con Uexküll, pesa quello con il nazionalsocialismo), Lorenz dedica a Uexküll una conferenza in cui si alternano attacchi e lodi, irritazione e gratitudine, critiche e ammirazione. Il testo della conferenza (inedito, ma ne parlo diffusamente nel mio libro) può essere così riassunto: se Uexküll non fosse stato un vitalista, che splendido etologo ne sarebbe uscito!
L’ambiente animale come sistema semiotico
Siamo partiti da Kant e arrivati alle critiche di Lorenz, ma ancora non è stato affrontato uno dei punti centrali della concezione di Uexküll. Per poter comprendere pienamente il suo contributo al pensiero filosofico e scientifico del XX secolo è infatti necessario esporre una delle intuizioni più feconde e originali del biologo estone: i sistemi animale-ambiente sono sistemi semiotici.
L’opera che più direttamente si colloca in questa prospettiva è Bedeutungslehre, del 1940, ma l’idea dell’organismo come “soggetto interpretante” attraversa tutta la produzione di Uexküll. In quest’ottica, ad esempio, può essere considerata l’idea dei primi scritti di Uexküll che gli stimoli provenienti dal mondo esterno non sono spinte, urti o “scosse” che provocano reazioni bensì segni che l’animale prima pone e poi legge, auto-orientandosi così nel mondo.
La prima comparsa di questa tesi si ha nelle opere del biennio 1909-1910, in cui Uexküll afferma che le sollecitazioni del mondo esterno si trasformano «in una lingua di segni del sistema nervoso». Per comprendere la portata di questa affermazione va tenuto presente da un lato che per Uexküll il mondo esterno è, kantianamente, una X sconosciuta, e dall’altro che, con Johannes Müller, egli ritiene che l’eccitazione che circola nel sistema nervoso sia indifferenziata, non veicoli informazioni. In questa fase Uexküll propone una teoria, poi accantonata, per cui il mondo esterno verrebbe rispecchiato in maniera non mimetica dall’attivazione di articolazioni nervose fisicamente esistenti: una determinata stimolazione proveniente dal mondo esterno attiva uno schema particolare, che però non ha nulla a che vedere con l’evento esterno. Lo schema attivato (immaginiamo ad esempio una connessione di fibre nervose di forma triangolare) diventa un segno, ma il segno di qualcosa che potrebbe avere anche tutt’altra forma, e che in se stesso – come elemento del mondo esterno – ci rimane ignoto.
L’idea della significazione non mimetica permane, modificata, anche in Ambienti animali e ambienti umani. Nella più accessibile terminologia di quest’opera divulgativa, le stimolazioni provenienti dal mondo esterno sono definite come «punti interrogativi» che arrivano al cervello dell’animale e inducono la produzione di un elemento semiotico, la marca percettiva; la marca percettiva viene ritrasposta all’esterno (la sensazione blu diventa il blu del cielo, scrive Uexküll) e quindi vissuta come una proprietà dell’ambiente. Essa però, come gli schemi nervosi del biennio 1909-10, non dice niente del mondo esterno in sé, della fonte del flusso di punti interrogativi. Essa sta per un elemento del mondo esterno (e la denotazione, lo stare per è la funzione base del segno, senza la quale un segno non è tale), ma non dice nulla di esso. E, se non si condivide la fiducia di Uexküll nell’armonia complessiva della natura, orientare le proprie azioni in base a segni che non veicolano nulla può certo apparire un salto nel buio…
D’altro canto però: che differenza con l’animale-macchina dei meccanicisti e la “mente associativa” dei comportamentisti! Nella concezione uexkülliana l’animale è spontaneo e attivo a livelli mai visti prima nelle pagine di uno zoologo, è un artista che lancia pennellate sul telo nero che lo circonda, che dispiega melodie nel silenzio primordiale dell’assenza di significato, che crea codici che poi lui stesso utilizzerà nell’azione rivolta al mondo esterno. Uno dei più noti esempi uexkülliani di interpretazione semiotica del mondo esterno è quello del paguro che incontra un anemone di mare; in base al suo stato intraorganico di fame o timore, il paguro “marca” l’anemone di mare rispettivamente come cibo o come riparo, e modifica di conseguenza il suo comportamento: nel primo caso lo divora, nel secondo se lo mette sulla conchiglia. Di fronte a questo famoso caso di studio, un attento lettore di Uexküll come Merleau-Ponty commenta: «abbiamo qui degli stimoli che agiscono non per semplice presenza fisica ma perché l’organismo è disposto a riceverli e a trattarli come segnali […] Detto in altri termini, si ha qui un inizio di cultura. L’architettura di simboli che l’animale dispiega definisce così, in seno alla natura, una specie di pre-cultura» (M. Merleau-Ponty, La natura. Lezioni al Collège de France 1956-1960, Milano 1996, p. 220 e p. 331).
L’oggetto di studio di Uexküll coincide quindi con il fenomeno naturale del senso, con la rete di rapporti semiotici che – prima ancora del loro rispecchiamento consapevole nella coscienza più o meno “chiara e distinta” dell’uomo – sorregge l’azione dei viventi nel loro ambiente. Così il ragno che tesse una ragnatela perfettamente corrispondente alle caratteristiche della mosca (di una mosca che magari non ha mai incontrato) sta dando, con il suo stesso comportamento, una nuova interpretazione del complesso semiotico “mosca”; altri viventi – sia che si cibino anch’essi di mosche, sia che cerchino di liberarsene, sia che le studino e le classifichino – mettono in luce nuove sfumature dello stesso complesso. Nessuno, se non forse la natura intesa come istanza ultima, possiede il codice nella sua interezza. Ogni organismo ne utilizza solo una parte – anche se magari, come nel caso dell’uomo, questa parte può essere talmente estesa da includere, capire e sfruttare i codici di altre specie.
Soprattutto in Bedeutungslehre, Uexküll propone una concezione del vivente incentrata sull’equiparazione dei singoli organismi a complessi semiotici individuali. Le specie biologiche sarebbero così dei testi o codici originari, in se stessi immateriali e atemporali; esse esprimono parte del loro significato in ognuno degli individui che ne fanno parte e nei rapporti “contrappuntistici” che gli individui intrattengono con gli altri organismi (conspecifici e non) e con l’ambiente fisico. La natura vivente si presenta quindi come un intreccio di significati, significati che si esprimono nella trama dei rapporti reciproci e che determinano la stessa costituzione fisica degli organismi singoli e delle loro creazioni materiali: «Di certo la struttura della ragnatela è orientata alla mosca perché il ragno stesso è orientato alla mosca. Essere orientato alla mosca significa, per la ragnatela, che il ragno ha assunto nella sua costruzione determinati elementi della mosca. Meglio ancora: che il ragno sia orientato alla mosca significa che l’animale, nella sua composizione corporea, ha assunto alcuni motivi tratti dalla melodia della mosca» (Bedeutungslehre, p. 121).
Portare Uexküll al di là di Uexküll: l’evoluzione come evoluzione di sistemi semiotici
L’animale come soggetto al tempo stesso trascendentale e semiotico, che pone e legge segni e in tal modo si orienta nel mondo esterno, istituendo attorno a sé quel “campo di senso” (Merleau-Ponty) che è la sua Umwelt, il suo ambiente. Una visione grandiosa, soprattutto se confrontata alla vulgata meccanicistica del darwinismo diffusa negli anni della formazione di Uexküll, che faceva dell’organismo il prodotto passivo delle dinamiche adattative – «mero carburante per il motore della selezione naturale», come criticamente scrive S.J. Gould ne La vita meravigliosa (Feltrinelli, 1990, p. 232) – e vedeva l’ambiente come l’insieme dei fattori fisico-chimici o climatici, con scarsa o nulla attenzione alle altre forme di vita. Certo, le cose cambiano se si legge Darwin e non i suoi interpreti: in Darwin l’ambiente è in primo luogo la rete dei rapporti tra i viventi: la forma piumata del seme del tarassaco (il “soffione” dei denti di leone) è sì perfettamente adattata all’aria, ma se non ci fosse la “pressione” di tutte le altre piante e di tutti gli altri semi, la loro concorrenza per l’espressione riproduttiva, quella forma non sarebbe nata.
Questo richiamo ci dà l’occasione di fare un passo in avanti, nello spirito delle critiche di Lorenz sopra menzionate: portare Uexküll al di là di Uexküll, cercando di integrare la sua concezione dell’animale e dell’ambiente con il dato incontestabile che il vivente cambia ed evolve.
La sfida è quindi pensare l’evoluzione non in termini di evoluzione di geni, organismi o specie biologiche, ma come evoluzione di sistemi animale-ambiente, o meglio ancora come evoluzione di sistemi semiotici. Questa sfida richiede che, nella concezione complessiva di Uexküll, le intuizioni biosemiotiche vengano separate dal quadro epistemologico del vitalismo – lasciando agli specialisti il compito di capire se, nella concreta situazione storica dell’Europa di fine Ottocento, le prime sarebbero potute nascere fuori dal secondo (io non lo credo, e il perché lo spiego nel mio libro). Allontanarsi dal vitalismo significa innanzitutto abbandonare la serena, platonica visione delle specie biologiche come entità immateriali (anzi, a-spaziali e a-temporali) per riportarle nella contingente processualità della natura. Se lo facciamo mantenendo l’ottica semiotica, le specie viventi appariranno come raggruppamenti di codici individuali senza alcun immutabile codice originario, come insiemi fattuali di copie lievemente divergenti, di prototipi senza archetipo (Georges Canguilhem), o ancora come reti di singoli atti di interpretazione del mondo – ovvero di se stessi, degli altri viventi, della materia inanimata. E in tal modo la “folgorazione” uexkülliana dell’animale come soggetto in grado di dare senso al mondo non verrà affatto distrutta, ma rafforzata.
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